Medio Oriente/Nord Africa

Palestina: bambini palestinesi torturati psicologicamente da soldati israeliani

Al-Quds (Gerusalemme) – Imemc. Il britannico “The Guardian” ha riportato ieri che, “nell’invasione del villaggio palestinese di Nabi Saleh – noto per essere un centro delle proteste della resistenza non violenta palestinese – i militari d’occupazione hanno setacciato tutte le abitazioni palestinesi costringendo i bambini, nel mezzo della notte, ad alzarsi dal letto e a farsi fotografare”.

Dall’articolo pubblicato sul “The Guardian” emergono altre forme di abusi e maltrattamenti praticati dalle forze d’occupazione israeliane, e si cita un recente documento pubblicato da “Defence for Children International” nel quale venivano incluse otto raccomandazioni mai osservate dall’esercito, né dal governo di Israele.

Alcune di queste raccomandazioni prevedono la detenzione di minori palestinesi senza alcuna accusa, interrogatori condotti con l’uso della forza e senza la presenza di un avvocato o di un familiare del minore, il rifiuto a indagare sulla tortura praticata dalle forze d’occupazione israeliane sui bambini palestinesi, il rifiuto a informare i familiari dei bambini sulle loro detenzioni e l’uso israeliano di trattare presso tribunali militari i casi giudiziari.

Sull’invasione notturna nel villaggio di Nabi Saleh, mercoledì scorso, i residenti hanno raccontato che “i soldati israeliani stanno raccogliendo dei file completi su tutti i bambini del villaggio palestinese, da utilizzare nella loro identificazione nei casi di lancio di pietre contro i soldati d’occupazione israeliani”.

Il villaggio palestinese, abitato da circa 500 persone, è una delle comunità palestinesi della Cisgiordania occupata dove, ogni settimana, si svolgono manifestazioni non-violente contro il Muro d’Annessione in costruzione sulla terra palestinese. Durante ogni protesta, l’esercito israeliano fa uso di armi letali per aggredire i manifestanti pacifisti.

Gli abitanti di Nabi Saleh hanno ammesso che al fine di proteggere i bambini da queste pratiche illegali israeliane, essi dipendono dal lavoro di documentazione di organizzazioni per i diritti umani palestinesi e internazionali.

Sempre su “The Guardian”, viene menzionato un rapporto di quest’anno stilato dal gruppo israeliano per i diritti umani “B’Tselem” nel quale già si espone l’abitudine dei soldati israeliani di fotografare i bambini palestinesi durante le incursioni notturne nelle loro abitazioni.

“Le foto vengono scattate per dare la possibilità all’esercito israeliano di creare una ‘mappa’. Tuttavia, l’esercito israeliano non ha alcuna base per sollevare questi sospetti nei confronti dei bambini che costringe a svegliarsi in piena notte. Il fine è quello di usare tali foto per identificare i minori palestinesi quando saranno accusati di aver lanciato pietre contri i soldati d’occupazione o quando saranno coinvolti in altre attività. In risposta a un rapporto sull’argomento, l’esercito ha dichiarato al Canale 10 della Tv israeliana che “per mantenere ordine e sicurezza, siamo in grado di ricorrere a diversi metodi”.

“The Guardian”: Palestinian children woken in night to be photographed by soldiers

Da: InfoPal

Arabia Saudita: un sogno che diventa realtà?

Prima della primavera araba era impensabile che le saudite scendessero in piazza, era impensabile che facessero sentire la loro presenza nel regno wahabita – tramite social network e blog – dove l’Islam più ortodosso impedisce loro di poter guidare, viaggiare da sole o essere in possesso di un documento d’identificazione.

Ma in Medio Oriente molto sta cambiando e ieri anche la realtà delle donne saudite si è dipinta di una nuova sfumatura. Con 81 anni di ritardo dalla Turchia, 55 anni di ritardo dall’Egitto e 44 anni di ritardo dallo Yemen con il quale l’Arabia Saudita confina, il re Abdullah bin Abdul Aziz ha annunciato ieri che le donne saudite avranno il diritto al voto, potranno inoltre candidarsi alle elezioni municipali e quindi fare parte della Shoura (il consiglio consultivo) e essere pienamente attive nella vita politica del regno.

Le prossime elezioni municipali, le uniche che si tengono in Arabia Saudita, perché ricordiamo che il regno saudita è una monarchia assoluta, e il re Abdullah bin Abdul Aziz detiene poteri pressoché assoluti, si terranno il prossimo 29 settembre, a quest’ultime le donne non avranno ancora il diritto di partecipazione o voto.

Certamente è un passo importante per le donne saudite, che troppe poche volte hanno fatto sentire la loro voce, che appaiono ai nostri occhi dei fantasmi neri che si aggirano per questo regno che più che essere un inno all’Islam più puro e un inno al fanatismo e al maschilismo più estremo.
Sperando che questo gesto di apertura non sia solo un contentino per chiudere polemiche e altre richieste fatte dalle saudite in seguito alla primavera araba o peggio per non prendere in considerazione pratiche e leggi che dovrebbe essere assolutamente e immediatamente abolite, come quella del “guardiano” – le donne saudite per viaggiare o semplicemente muoversi hanno bisogno di un accompagnatore, quest’ultimo deve essere un parente stretto, padre, marito o fratello – possiamo affermare che ieri si è aperta una nuova finestra sulla vita politica saudita ma soprattutto nel cuore di quelle donne che hanno combattuto e continuano a farlo, perché i loro diritti vengano rispettati e che la primavera araba porti ancora più riforme in Arabia Saudita.

Iran: Atefeh Nabavi struggente lettera dal carcere di Evin scritta per il suo 30esimo compleanno

 Per il suo 30esimo compleanno, Atefeh Nabavi, studentessa e attivista per i diritti umani ha scritto una lettera dal carcere di Evin. Lei e suo cugino Zia Nabavi sono stati arrestati il 15 giugno 2009.  Atefeh Nabavi si trova attualmente nel reparto 209 del carcere di Evin.
La Corte rivoluzionaria di Teheran ha condannato ATefeh Nabavi a quattro anni di carcere, con l’accusa di: “contatti con il Partito Popolare dei Mujahedin Iraniani”;  di “aver partecipato ad una manifestazione illegale il 15 giugno 2009” e di “ essersi opposta al regime, manifestando contro di esso”

 Atefeh scrive:

 … così ho compiuto i miei 30 anni!

 Sono passati due anni e tre mesi. Nei momenti bui, rinchiusa in isolamento nel reparto 209 del carcere di Evin pensavo al tempo che avrei dovuto trascorrere in questo luogo. La mia mente non riusciva a comprendere la parola “anni” e mentre il tempo passava i giorni e i mesi erano gli unici strumenti plausibili che avevo per misurare la mia permanenza in carcere.

Passarono venti giorni, non ti tratterranno più di cinquanta giorni mi dicevo, poi passò un mese (la detenzione temporanea è di due mesi), poi tre, quattro, sette e intanto dici a te stessa, “Non ti preoccupare, il trascorrere del tempo va tutto a tuo vantaggio, perché il suo passare determina anche la fine della pena.”
Ma quando si compiono trent’anni in carcere, invece di contare le ore, i giorni e i mesi, si contano gli anni, ti senti come se non avessi ricevuto niente dal tempo che passa e ti rendi conto che questi forse sono gli anni più belli della tua vita, e mentre essi passano tu li guardi scorrere quasi come se non ti appartenessero.

 A trent’anni bisognerebbe vivere con passione, entusiasmo, estasi giovanile, e non passare il tuo tempo in questa palude come se fossi un nuotatore che non riesce a raggiungere la superficie perché sta soffocando. E sprofondata in questi pensieri, l’amarezza mi riempie l’anima.

Sono passati cento giorni nel reparto 209 del carcere di Evin, è passato un anno rinchiusa con criminali, drogati, assassini, ragazze e donne malate, che sono senza dubbio, in gran parte, il prodotto della nostra società perversa. E ora è da più di undici mesi che vivo in un ambiente isolato in cui non c’è nessuna comunicazione con il mondo esterno.

Qui viviamo scollegati da qualsiasi contatto esterno, da altri esseri umani, dalla natura e dalla vita. Ogni cella ha solo venti minuti a settimana per le visite dei famigliari, e anche in quest’ occasione le guardie ci minacciano facendoci pressione.

 Sono passati più di due anni dalle elezioni presidenziali del 2009 e il risultato non è stato altro che centinaia di anni di pene detentive per i figli di questa terra. E ora io, una delle prime donne arrestate e imprigionate dopo le manifestazioni post-elettorali, a cavallo del mio trentesimo compleanno, sto pagando per essere andata ad una manifestazione non tollerata da chi detiene il potere.
Questo e il mio terzo anno di detenzione, il terzo anno senza essere mai stata congedata una volta, senza avere mai visto un famigliare o aver potuto contattarli telefonicamente.

 Il 15 giugno del 2009 proprio come tre o quattro milioni di persone che sono scesi in piazza per protestare, sentivo che stava avvenendo qualcosa di molto importante nel mio paese. Quel giorno ho sentito l’obbligo di partecipare e il bisogno di credere alle promesse fatte solo una settimana prima durante i dibattiti presidenziali. Ho pensato che dopo aver partecipato alla protesta sarei ritornata a casa e avrei continuato il mio lavoro di attivista sociale.
Ma le cose andarono diversamente, le promesse non furono mantenute e io come mio marito non ritornammo più a casa, lui fu catturato perché aveva seguito il mio esempio.

 Ora sto sperimentando i capitoli non scritti della storia. Ho sperimentato interrogatori, intimidazioni, isolamento, l’esecuzione e l’esilio dei miei più cari amici (alcuni di loro sono amici con i quali sedevo magari la sera prima in uno stesso tavolo a mangiare, o il vicino di letto) e il desiderio struggente che ti prende quando vorresti sentire la voce dei tuoi cari, anche solo per un solo momento.

 Ho guardato il lutto silenzioso di coloro che non hanno il permesso di partecipare ai funerali dei loro cari, e l’inquietudine di una madre che non può partecipare alla cerimonia di nozze del proprio figlio, ho sperimentato la malattia, il dolore, la nostalgia. Ogni sentimento, ogni momento che vivi sembra che s’intensifichi e diventi meno accettabile dentro queste mura.

 Comunque…

 Vivere quest’esperienza è qualcosa che non augureresti a nessuno. La combinazione di dolore e passione unificate in un’anima che langue crea un elisir che non solo consuma l’anima ma in qualche modo la pulisce e la purifica.

 Ecco come si compiono 30 anni in carcere…

Video dall’Iran

Intanto che le manifestazioni continuano sulla rete sono già apparsi molti video, uno dei primi video è quello di un ragazzo coraggioso, che con le foto di due martiri è salito su una gru questa mattina, voleva fare vedere al mondo che nella Repubblica Islamica d’Iran si muore perché si cerca disperatamente la libertà, voleva che i due martiri non venissero dimenticati.
Nell’altro video giunto da poco si possono sentire i manifestanti che urlano Ben Ali, riferendosi al dittatore tunisino scappato dal paese dopo tre settimane di proteste da parte del suo popolo, e Mubarak, il dittatore egiziano che si e visto sconfitto dalla rivoluzione pacifica del suo popolo dopo 18 giorni, e adesso noi!

Iran: 1 morto e 250 arresti

Teheran: Come previsto, oggi nella capitale ci sono state varie manifestazione contro il regime degli ayatollah. Secondo le ultime notizie che arrivano da HRANA (in lingua farsi – tradotto in inglese da persian2english), ci sono stati violenti scontri tra le forze di polizia e i manifestanti.
Una persona è morta, 2 sono rimaste ferite e 250 persone sono state arrestate.

source: http://persian2english.wordpress.com/2011/02/14/protester-shot-and-killed-250-others-detained/