Esecuzioni

Strazziante lettera da Evin: mi hanno condannata a morte perché sono curda

ENGLISH FRENCH

[È stato per me estremamente difficile tradurre questa lettera, così come lo è tradurre tutte le altre lettere di violenza, il dolore di Shirin è palpabile, l’ingiustizia alla quale è costretta mi spezza il cuore e attraversa il mio corpo. Leggere la lettera di Shirin mi provoca un dolore fisico e mi chiedo quanto andrà avanti questa ingiustizia che l’Iran fa subire ai curdi?]

Shirin Alam Hooli (3 giugno 1981) è nata nel villaggio di Gheshlagh vicino alla città di Maku in Iran. Fu arrestata nel maggio del 2007 dalle Guardie Rivoluzionarie. Ha trascorso i primi 25 giorni della sua prigionia in un luogo sconosciuto sotto brutali torture fisiche e psicologiche. In seguito è stata trasferita nella sezione 209 del carcere di Evin, dove è rimasta sei mesi in isolamento subendo brutali torture.
Dopo essere stata trasferita a Evin, Shirin è stata condannata a due anni di reclusione per essere uscita illegalmente dal paese e in seguito condannata a morte per “mohareb” (istigazione verso Dio – nemici di Dio) e per il suo presunto coinvolgimento con il partito “Vita Libera al Kurdistan” (PJAK).
Il suo processo ha avuto luogo nella sezione 15 della Corte Rivoluzionaria di Teheran, sotto il giudice Salavati.
L’avvocato di Shirin è stato informato della condanna a morte il 3 gennaio 2010 in seguito si è appellato, ma da parte della Corte non vi è stata alcuna risposta.

Nella prima lettera scritta da Shirin venivano descritte le brutali torture fisiche e psicologiche subite durante gli interrogatori. A causa di quest’ultime Shirin è afflitta da numerosi problemi di salute. Oltre alle torture durante l’isolamento Shirin descrive, nella sua prima lettera, come i suoi aguzzini in carcere, cercarono di farle smettere lo sciopero della fame.

Nella sua seconda lettera, riportata qui sotto, Shirin scrive a proposito di come i funzionari del carcere di Evin stanno cercando con la forza di farla confessare, chiedendole di negare la sua appartenenza all’etnia curda.

Lettera di Shirin Alam Hooli:

“Sto entrando nel mio terzo anno di reclusione nel carcere di Evin. Ho trascorso i primi due anni della mia prigionia senza un avvocato e in custodia cautelare. Tutti gli appelli/ricorsi sul mio caso sono rimasti senza riposta fino a quando sono stata ingiustamente condannata a morte.
Perché mi hanno arrestato? Perché mi hanno condannato a morte? Perché ci sarà la mia esecuzione? Quale delitto ho commesso? Solo perché sono curda? Se è per questo, allora io dico, sì, sono curda, la mia lingua è il curdo, la lingua che uso per parlare con i miei famigliari, i miei amici è il curdo, questa è la lingua con la quale sono cresciuta.
Ma in Iran non mi è permesso parlare o leggere in curdo, non mi è permesso andare in una scuola dove si insegna il curdo, non mi è permesso scrivere in curdo.
Mi stanno dicendo di negare la mia identità curda, ma se lo faccio è come se negassi me stessa.

Signor giudice e funzionari del carcere (quelli che la interrogano) quando mi interrogavate io non potevo parlare la vostra lingua e non potevo neanche capirla, perché il farsi l’ho appreso solo nei miei ultimi due anni, da quando sto ad Evin.
Mi avete interrogato, processato e condannato a morte in una lingua che io non capivo, mi avete condannato senza darmi la possibilità di difendermi, perché io allora non parlavo il farsi.

Le torture che mi avete fatto subire sono diventate il mio incubo. Il mio corpo è un fascio di dolore, i colpi alla testa che mi avete dato, durante gli interrogatori, mi hanno causato gravissimi problemi. Soffro di mal di testa, un mal di testa che mi fa perdere i sensi, il mio naso sanguina per ore.

Un altro vostro regalo è il danno agli occhi, il quale peggiora di giorno in giorno. La mia richiesta per farmi dare degli occhiali è come sempre rimasta senza risposta.

Quando sono entrata in questo carcere i miei capelli erano neri, adesso dopo tre anni di reclusione stanno diventando tutti bianchi.

So che avete fatto tutto ciò, non solo a me, ma anche ad altri curdi, come Zeynab Jalaliyan e Ronak Safarzadeh. Nell’attesa di vedere i loro figli, gli occhi delle madri curde sono piene di lacrime. Sono in costante preoccupazione, nel timore che ogni chiamata possa portare la notizia dell’avvenuta esecuzione dei loro figli.

Oggi 2 maggio 2010 mi hanno ancora una volta portata nella sezione 209 di Evin per interrogarmi. Mi hanno chiesto di collaborare con loro in modo da essere perdonata e non venir giustiziata. Ma io non capisco che cosa intendono per “collaborare”, io non ho niente da dire, e tutto quello che avevo da dire, l’ho già detto.

Con “collaborare” loro intendono che io debba ripetere quello che loro mi suggeriscono, ma io mi rifiuto di farlo.

Durante un interrogatorio mi hanno detto: “Volevamo lasciarti andare già l’anno scorso, ma la tua famiglia non intendeva collaborare con noi e perciò ti tratteniamo.” Hanno ammesso che ero un ostaggio e che finché non raggiungeranno i loro obiettivi mi terranno prigioniera, mi giustizieranno, ma mai mi lasceranno libera.

Shirin Alam Hooli , 3 maggio 2010 Serkeftin

(Si deve notare che alla fine della sua lettera dopo il suo nome e la data Shirin ha scritto “Serkeftin” che in curdo significa vittoria.)

traduzione di: forafreeiran

Tutto il materiale di questo blog può essere distribuito liberamente, vi preghiamo solo di indicare il link del nostro blog

Le coup le plus cruel : la trahison des femmes par les Nations Unies

Aux gardiens de notre monde à l’envers, la “nation” unie.

Les femmes d’Iran sont l’épicentre d’un conflit global entre la liberté des femmes et l’oppression théocratique. Face au régime le plus répressif et le plus violemment misogyne du monde, les Iraniennes ont lutté pour leurs droits pendant les 31 ans qui viennent de s’écouler. Debout sans peur en première ligne dans les rues, rassemblées solidairement au parc Laleh, depuis leurs cellules en prison ou derrière leurs ordinateurs, veillant à ce que les communications passent avec le monde extérieur, les Iraniennes mènent la lutte contre le régime qui pratique la ségrégation des sexes, la république islamique. Non seulement elles mènent la lutte contre la république islamique mais également contre l’islam politique international et la loi de la Shari’a pour ne citer que ces deux points.

C’est une lutte contre un gouvernement qui légalise le viol des fillettes en fixant l’âge légal du mariage à 9 ans, qui punit de 74 coups de fouet le fait de ne pas porter le hidjab en public, qui fixe la valeur de la vie d’une femme suivant le code pénal de la Shari’a à la moitié de celle d’un homme, qui s’assure de la subordination économique intergénérationnelle en stipulant que l’héritage d’une femme ne peut dépasser la moitié de celui d’un homme. C’est une lutte contre un gouvernement hargneux et vicieux qui viole les prisonnières au point de détruire leurs organes reproducteurs, qui les tue en les enterrant jusqu’à la poitrine pour une lapidation à mort ou en les pendant par le cou depuis le ciel à une grue.

Contre le régime islamique dont l’existence même dépend de la subordination et de la répression en général et au premier chef de celle des femmes, les Iraniennes se dressent pour le défier. Et les femmes d’ailleurs observent, car nous savons que, lorsque les Iraniennes descendent dans la rue, cela signifie l’égalité et l’émancipation des femmes dans le monde entier. Nous voulons qu’elles gagnent. Nous savons qu’elles peuvent gagner. Nous aspirons à ce qu’elles sachent que nous sommes solidaires, que notre sort est lié au leur. Et puis…

… même pas une semaine après que l’ayatollah Sedigh ait signalé que le régime se préparait à une nouvelle répression contre les femmes, on apprend la nouvelle. Nous entendons que la Commission des Nations Unies sur le Statut des Femmes, qui se targue d’être « dédiée exclusivement à l’égalité des sexes et à la promotion des femmes » a librement choisi d’octroyer un des ses sièges au régime islamique violemment misogyne. C’est de l’autodérision. Elle a trahi les femmes dans le monde entier par le coup le plus cruel.

La Commission a osé. Alors que des centaines de nos sœurs souffrent en prison parce qu’elles s’étaient dressées pour leurs propres droits, la Commission sur le Statut des Femmes de l’ONU ose s’opposer à elles en accordant au régime islamique un siège à sa table. A peine sait-elle que, ce faisant, la Commission creuse sa propre tombe. Sur la pierre tombale : Obsolescence.

En refusant de répondre aux exigences des citoyens du monde qui recherchent la justice et la liberté, en montrant une hostilité claire envers les femmes d’Iran, la Commission sur le Statut des Femmes de l’ONU a réussi à être totalement hors sujet. Elle a sapé sa légitimité aux yeux du monde pour la dernière fois. Nous n’en supporterons pas davantage.

Les Iraniennes ont payé et continuent de payer un prix beaucoup trop élevé pour une libération partielle qui n’est que leur droit inné. Nous reconnaissons leurs luttes et honorons leurs sacrifices, même si les organisations internationales supposées plaider en leur faveur font défaut.

Il n’y a même pas un an que Néda a été abattue dans la rue par ce régime. Nous n’oublions pas l’histoire de Taraneh Moussavi ni celle de Bahareh Maghami. Nous attendons avec Shirin Alamkoei et Massoumeh Yavari. L’ONU est maintenant directement responsible, au même chef que le régime islamique, de toutes les atrocités commises contre les Iraniennes. Vous tous, hommes et femmes, jouez un rôle dans le viol, l’emprisonnement, la torture, la lapidation et les pendaisons d’Iraniennes. Vous avez librement choisi votre camp.

Nous nous tenons aux côtés des femmes en Iran. Nous nous dresserons contre l’ONU et sa Commission sur le Statut des Femmes aussi longtemps que justice ne sera pas faite: le régime islamique doit être renvoyé de la Commission.

Nous déclarons donc que, tant que le régime islamique sera membre de la Commission sur le Statut des Femmes de l’ONU, la Commission est illégitime.

Les exécutions par lapidation doivent cesser en Iran

Les autorités iraniennes continuent à condamner des personnes à la mort par lapidation. Actuellement, au moins 11 personnes risquent d’être exécutées de cette manière. Le Code pénal iranien dispose que ce châtiment est infligé en cas d’« adultère en étant marié ».

Il précise les modalités de l’exécution et les types de pierre qui doivent être utilisés. Aux termes de l’article 102, les hommes doivent être enterrés dans le sol jusqu’à la taille et les femmes jusqu’à la poitrine avant l’exécution.

L’article 104, qui fait référence à la peine de mort pour adultère, indique que les pierres « ne devront pas être grosses au point que le condamné meure après en avoir reçu une ou deux ; elles ne devront pas non plus être si petites qu’on ne puisse leur donner le nom de pierres ». Par conséquent, il est clair que l’objectif de la lapidation est d’infliger une douleur lors d’un processus conduisant à une mort lente.

Mi-2006, un groupe de défenseurs des droits humains iraniens principalement composé de femmes, notamment de journalistes et d’avocates, a lancé une campagne en faveur de l’abolition de la lapidation. Stop Stoning Forever vise à sauver la vie de toutes les personnes sous le coup d’une condamnation à la mort par lapidation en Iran et à obtenir l’abolition de ce châtiment dans le droit et dans la pratique. Depuis le début de la campagne, quelque 15 personnes ont été épargnées et d’autres ont obtenu des sursis. Cependant, dans trois cas au moins, des personnes condamnées à la mort par lapidation ont été exécutées par pendaison.

Envoyer le message ci-dessous au président du Parlement iranien, Ali Larijani, afin qu’il mette un terme à l’usage de la lapidation comme méthode d’exécution en Iran.

Les exécutions par lapidation doivent cesser en Iran

Monsieur,

Je vous écris pour exprimer ma profonde inquiétude quant au fait que des personnes continuent à être condamnées à la mort par lapidation en Iran.

Au moins huit femmes et trois hommes risquent actuellement d’être exécutés de cette manière. Par ailleurs, au moins six exécutions par lapidation ont eu lieu en dépit du moratoire instauré par le responsable du pouvoir judiciaire en 2002.
L’exécution par lapidation rend encore plus brutale qu’elle ne l’est la condamnation à mort, et ce mode d’exécution vise spécifiquement à exacerber les souffrances des condamnés : les pierres sont délibérément choisies assez grosses pour causer la douleur, mais pas au point de tuer la victime immédiatement.

Je sais qu’un projet de loi destiné à modifier le Code pénal est actuellement examiné par le Parlement pour approbation. Je comprends bien que ce texte a pour objet la modification de la loi sur la lapidation afin que, si l’on considère qu’une telle peine ne doit pas être appliquée dans l’intérêt national, elle puisse être suspendue à la demande du parquet, avec l’accord du responsable du pouvoir judiciaire.

Je me félicite de ces mesures réformatrices mais je prie néanmoins l’Iran, en tant qu’État partie au Pacte international relatif aux droits civils et politiques, de veiller à ce que la législation adoptée soit conforme aux obligations qui incombent à votre pays aux termes du droit international, afin que des personnes n’encourent pas la peine de mort parce qu’elles ont eu des relations sexuelles consenties en privé.

Un moratoire immédiat sur les exécutions par lapidation doit être instauré et maintenu jusqu’à ce que les modifications entrent en vigueur. Toutes les personnes actuellement sous le coup d’une condamnation à la mort par lapidation en Iran doivent voir leur peine commuée sans délai.

Je vous prie d’agréer, Monsieur, l’expression de ma haute considération.

Source: AI